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Addio Lidia Menapace, la compagna Bruna

Ci ha lasciati Lidia Menapace, la “compagna Bruna”. Aveva 96 anni, è deceduta questa notte all’ospedale San Maurizio di Bolzano dov’era ricoverata da alcuni giorni, a seguito del Covid-19.

Da vera insegnante ci ha educato con l’esempio della sua vita alla Resistenza, alla voglia di ricostruire dopo le macerie, all’impegno culturale e sociale. Sottolineato da un’interpretazione al femminile della vita e della militanza

LA COMPAGNA BRUNA _ Giovanissima, Lidia Menapace, “Bruna”, prende parte alla Resistenza e nel 1964 è la prima donna eletta nel Consiglio provinciale di Bolzano. All’inizio degli anni Sessanta inizia a insegnare all’Università cattolica del Sacro Cuore con l’incarico di lettrice di lingua italiana e metodologia degli studi letterari, incarico che durante il Sessantotto non le viene rinnovato a seguito della pubblicazione di un documento intitolato Per una scelta marxista. Dopo essere uscita dalla Democrazia cristiana, simpatizza per il Partito comunista e nel 1969 viene chiamata dai fondatori nel primo nucleo de Il Manifesto cui offre per anni il suo fondamentale contributo. Membro di Rifondazione comunista fin dalla fondazione, nelle elezioni politiche del 2006 viene eletta al Senato.

Da vera insegnante, Lidia Menapace ci ha educato con l’esempio della sua vita: la Resistenza partigiana, la voglia di ricostruire dopo le macerie civili e umane della guerra, l’impegno culturale e sociale. Le sue parole sagge, ironiche, leggere ma pesanti allo stesso tempo, la sua stessa fisicità, il suo profilo inconfondibile ci hanno fatto negli anni innamorare di lei.

“Buonasera a tutte e a tutti – diceva nel marzo del 2017 a Milano – sempre tutte e tutti, cioè sempre il linguaggio inclusivo. E sempre prima tutte e poi tutti, non solo per cortesia che quando c’è si ringrazia e quando non c’è non si può protestare, ma per diritto, perciò si può protestare: perché noi donne siamo di più. Quindi: contano i numeri, contano i voti. Non so se sapete di quanto siamo di più. All’ultimo censimento, quello del 2011, le donne risultarono essere due milioni e trecentomila circa più degli uomini. Quando lo dico, c’è sempre qualche patriarca gentile che mi dice: adesso vedrai che ci mettiamo subito in riga. Guardate che ci fu un milione di voti di donne più che di uomini al referendum ‘monarchia-repubblica’; quindi non metteteci sempre così tanto tempo insomma… cercate di sveltirvi un po’… perché altrimenti nel 3003 siamo ancora qui che contiamo quanti dovremmo essere”. C’è in queste parole tutta Lidia, con la sua ironia, la sua schiettezza, il suo femminismo. Una anticipatrice: questa forse è stata la caratteristica più nitida ed esclusiva del suo lavoro.

Scriveva già nel 1993 nella prefazione al volume Parole per giovani donne: “Poiché ho ribattuto che possiamo cominciare a sessuare il linguaggio nei miliardi di volte in cui si può fare senza nemmeno modificare la lingua, e poi ci occuperemo dei casi difficili, ecco subito di nuovo a chiedermi perché mai mi sarei accontentata di così poco. Se è tanto poco, dicevo, perché non si fa? Non si fa perché il nome è potere, esistenza, possibilità di diventare memorabili, degne di memoria, degne di entrare nella storia in quanto donne, non come vivibilità, trasmettitrici della vita ad altri a prezzo della oscurità sulla propria. Questo è infatti il potere simbolico del nome, dell’esercizio della parola. Trasmettere oggi nella nostra società è narrarsi, dirsi, obbligare ad essere dette con il proprio nome di genere”.

Ci ha regalato la definizione più suggestiva del movimento delle donne definendolo ‘carsico’, come un fiume che talvolta sprofonda nelle viscere della terra per riapparire in luoghi e tempi imprevisti con rinnovata potenza. Suo è lo slogan “Fuori la guerra dalla storia”, sua la proposta di una Convenzione permanente di donne contro tutte le guerre. “Cosa rimane oggi della Resistenza? – diceva nell’aprile 2009 – È rimasto un gran buco da colmare. Siamo davanti a un fenomeno che ho iniziato a chiamare di ‘alzheimer organizzato‘ (…) Tutti noi temiamo l’alzheimer, perché è la perdita della memoria di te stesso (…) ma un intero popolo che viene indotto all’alzheimer è un popolo che tu puoi portare dove vuoi. Senza un passato con cui confrontarsi non ha un futuro”. “Cosa ho imparato dalla Resistenza? – diceva – A convivere con la paura e a superarla”.

Oggi siamo noi ad avere paura, Lidia. Senza di te ci sentiamo tutte e tutti (sempre prima tutte e poi tutti, ce lo hai insegnato tu!) un po’ più tristi, un po’ più soli. “Non vedo l’ora di uscire e andare nel piccolo giardino sotto casa – dicevi qualche mese fa – Ma non vorrei che la liberazione dopo il virus, si riducesse solo a uscire di casa. (…) Immagino gruppi di persone che pensino a cambiare le cose dentro un grande movimento di cambiamento. Una vita politica in cui ciascuno vede cose che non funzionano e si impegni per trasformarle, in cui le cose sbagliate siano raddrizzate”. Ci proveremo a raddrizzarle queste cose, Lidia, ma senza di te sarà più difficile. Già ci manchi.

Ciao, Lidia, ciao Bruna.

fonte Colettiva